sabato 26 luglio 2014

The Snail



Pensando alle gare di corsa dei 100 metri le immagini che ci appaiono nella mente sono scatti felini, partenze brucianti ed arrivi al foto-finish.
Pensiamo a Jesse Owens, che bruciava le piste all’ombra del Reich, a Ben Johnson, il figlio del vento, finito nello scandalo doping , fino al più recentissimo ed irriverente Usain Bolt.
Per chi pratica questo tipo di disciplina sa benissimo quanto siano lunghi quei secondi che dividono i blocchi di partenza dalla linea di arrivo. E ogni corridore è un mondo a se: chi ripensa alle falcate, chi a trovare il giusto mix tra cattiveria ed agonismo e chi pensa semplicemente di arrivare in fondo, per primo.
Eppure c’è chi, in una gara di velocità pura come questa pensa solo ad arrivare al traguardo.


2001
Batteria dei 100m per la qualificazione per i Mondiali di atletica di Daegu.
Tra gli scattisti vi è il giovane Sogelau Tuvalu.
E’ un 17enne, di mestiere panettiere che proviene dalle isole Samoa, un arcipelago nel Pacifico quasi invisibile nelle carte geografiche, che noi conosciamo solitamente per lo stile dei tatuaggi, la nazionale temibile di rugby e per una lunga tradizione nel wrestling, mai per sportivi legati al mondo dell’atletica, ad eccezione dello sprinter Nakanelua che nel 2001 percorse i 100 metri in 10,81, un’autentica mosca bianca.

Vive nella parte orientale dell’arcipelago, in quelle che vengono definite Samoa Americane, ultimo posto abitato al mondo in cui avviene ogni giorno il cambio di data e dove si può ancora acquistare la New Coke, variante della Coca Cola introdotta nel 1985 e uscita di produzione nel 2002.

Il fisico non certo da corridore, poco tonico e pesante, più da gettista del peso, disciplina dove tra l’altro aveva anche provato la qualificazione ai Mondiali, senza riuscirvi.
Ma il giovane non si perde d’animo ed ecco l’idea: allenarsi per i 100 metri!!!!
Inizia così ad allenarsi in palestra per 4 ore al giorno, senza esagerare, per un mese. Una preparazione che non servirebbe neanche a far bella figura in una gara da oratorio.
Eppure è lì, settima corsia, nelle batterie preliminari di qualificazione pronto a far mangiar la polvere agli avversari, a gente che fa l’atleta di professione.

Sui blocchi di partenza è impacciato, visibilmente fuori posto tanto che, dopo lo sparo dello starter, è già indietro di una decina di metri dal resto del gruppo.

Quei cento metri si trasformano in chilometri; sbuffa, arranca, vacilla ma alla fine taglia quel traguardo, mentre già qualche suo avversario è alle prese con i giornalisti o diretto verso lo spogliatoio.
Il cronometro segna un impietoso 15,66…5 secondi dopo il vincitore.

Fatto sta che il pubblico si divide a metà: quello che condanna per aversi messo così in ridicolo su di un palcoscenico di tali dimensioni e quello che ne apprezza il coraggio e lo spirito decoubertiano.
Riesce persino ad oscurare per una giornata la stella giamaicana Usain Bolt, chiamato a riscattarsi dalle ultime deludenti prestazioni.
Davanti alla sarcastiche domande dei giornalisti la spiazzante risposta:
-“Ho creduto in me stesso. Questo è un sogno che si realizza.”


Oggi Sogelau è chiamato “The Snail” la lumaca, ma la sua storia chi insegna che a volte, nello sport, se non si può eccellere in positivo vale la pena rischiare di “eccellere” in negativo.
L’importante è mettersi in gioco e crederci per davvero, anche perché, quante sono le lumache che corrono i 100 metri in 15 e 66?

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