Pensando alle gare di corsa dei 100 metri le immagini che
ci appaiono nella mente sono scatti felini, partenze brucianti ed arrivi al
foto-finish.
Pensiamo a Jesse Owens, che bruciava le piste all’ombra del
Reich, a Ben Johnson, il figlio del vento, finito nello scandalo doping , fino
al più recentissimo ed irriverente Usain Bolt.
Per chi pratica questo tipo di disciplina sa benissimo
quanto siano lunghi quei secondi che dividono i blocchi di partenza dalla linea
di arrivo. E ogni corridore è un mondo a se: chi ripensa alle falcate, chi a
trovare il giusto mix tra cattiveria ed agonismo e chi pensa semplicemente di
arrivare in fondo, per primo.
Eppure c’è chi, in una gara di velocità pura come questa
pensa solo ad arrivare al traguardo.
2001
Batteria dei 100m per la qualificazione per i Mondiali di
atletica di Daegu.
Tra gli scattisti vi è il giovane Sogelau Tuvalu.
E’ un 17enne, di mestiere panettiere che proviene dalle isole
Samoa, un arcipelago nel Pacifico quasi invisibile nelle carte geografiche, che
noi conosciamo solitamente per lo stile dei tatuaggi, la nazionale temibile di
rugby e per una lunga tradizione nel wrestling, mai per sportivi legati al
mondo dell’atletica, ad eccezione dello sprinter Nakanelua che nel 2001
percorse i 100 metri
in 10,81, un’autentica mosca bianca.
Vive nella parte orientale dell’arcipelago, in quelle che
vengono definite Samoa Americane, ultimo posto abitato al mondo in cui avviene
ogni giorno il cambio di data e dove si può ancora acquistare la New Coke, variante della
Coca Cola introdotta nel 1985 e uscita di produzione nel 2002.
Il fisico non certo da corridore, poco tonico e pesante, più
da gettista del peso, disciplina dove tra l’altro aveva anche provato la
qualificazione ai Mondiali, senza riuscirvi.
Ma il giovane non si perde d’animo ed ecco l’idea: allenarsi
per i 100 metri!!!!
Inizia così ad allenarsi in palestra per 4 ore al giorno,
senza esagerare, per un mese. Una preparazione che non servirebbe neanche a far
bella figura in una gara da oratorio.
Eppure è lì, settima corsia, nelle batterie preliminari di
qualificazione pronto a far mangiar la polvere agli avversari, a gente che fa l’atleta
di professione.
Sui blocchi di partenza è impacciato, visibilmente fuori
posto tanto che, dopo lo sparo dello starter, è già indietro di una decina di
metri dal resto del gruppo.
Quei cento metri si trasformano in chilometri; sbuffa,
arranca, vacilla ma alla fine taglia quel traguardo, mentre già qualche suo
avversario è alle prese con i giornalisti o diretto verso lo spogliatoio.
Il cronometro segna un impietoso 15,66…5 secondi dopo il
vincitore.
Fatto sta che il pubblico si divide a metà: quello che
condanna per aversi messo così in ridicolo su di un palcoscenico di tali
dimensioni e quello che ne apprezza il coraggio e lo spirito decoubertiano.
Riesce persino ad oscurare per una giornata la stella giamaicana
Usain Bolt, chiamato a riscattarsi dalle ultime deludenti prestazioni.
Davanti alla sarcastiche domande dei giornalisti la
spiazzante risposta:
-“Ho creduto in me stesso. Questo è un sogno che si realizza.”
Oggi Sogelau è chiamato “The Snail” la lumaca, ma la sua storia
chi insegna che a volte, nello sport, se non si può eccellere in positivo vale
la pena rischiare di “eccellere” in negativo.
L’importante è mettersi in gioco e crederci per davvero,
anche perché, quante sono le lumache che corrono i 100 metri in 15 e 66?
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