mercoledì 23 luglio 2014

Sindelar e quel calcio alla svastica



3 aprile 1938
L’eco degli stivali che marciano al passo dell’oca rimbomba lungo le vie di Vienna, la svastica sventola su bandiere e striscioni in un clima apparentemente festoso, in realtà imposto a suon di ordinanze dal regime nazista.
Si festeggia l’ Anschluss, l’annessione dell’Austria alla Germania del Furher che la trasformerà da stato sovrano in anonima provincia, avvenuta alcuna settimane prima
60000 spettatori sono assiepati sugli spalti del Prater per guardare l’incontro calcistico organizzato per suggellare l’evento: la Germania si scontrerà contro l’Austria, per quella che passerà alla storia come l’Anchlussspiel, la partita della riunificazione.
Per la nazionale austriaca sarà l’ultima partita che giocherà in quando i calciatori, diventati tedeschi, verranno integrati nell’undici di Berlino. Per l’occasione hanno avuto un “permesso speciale” per disputare questo incontro con il quale saluteranno il proprio pubblico prima dello scioglimento.
Finisce così la leggenda del Wunderteam, la squadra delle meraviglie, che per anni ha dato vita ad un gioco veloce e spettacolare, sotto la guida del ct Hugo Meisl, purtroppo morto poco tempo prima di questa sfida.
A guidarli sarà Matthias Sindelar.
Matthias Sindelar, detto “Der Papierene”, Cartavelina, è il 35enne capitano dell’ Austria Vienna e della nazionale, autentico fuoriclasse, dal gioco molto intelligente e dal fisico asciutto in modo impressionante, da cui il soprannome.
Alto, scheletrico, occhi azzurri infossati, non sembrava nemmeno uno sportivo, eppure era anche denominato “il Mozart del pallone” per via della sua armoniosità nei movimenti, controllo palla, abilità nel dribbling e nello smarcarsi dagli avversari

Nasce nel 1903, a Kozlov, un paesino nella Moravia, oggi Repubblica Ceca, che ai quei tempi faceva parte dell’impero austro-ungarico, da famiglia cattolica (anche se alcuni la descrissero ebrea), operaia e molto povera che alcuni anni dopo emigrò a Vienna per cercare di migliorare la propria condizione.
Il piccolo Matthias comincia dare i primi calci ad un  pallone, dimostrando grande talento soprattutto nel dribbling.
Nel 1917 la famiglia Sindelar riceve un brutto colpo: il padre Jan, muratore, muore sul fronte nella battaglia dell’Isonzo pertanto il futuro campione è costretto a trovare lavoro per aiutare economicamente la propria madre lavandaia e le tre sorelle, finirà in una piccola officina meccanica.
Ma nei suoi pensieri c’è sempre il pallone e la sua classe non passa inosservata, infatti gli osservatori  dell’Herta ASV di Vienna, dopo averlo tesserato, a soli 18 anni lo fanno debuttare nella massima serie austriaca.

Nel 1923, a causa di una caduta in piscina, si infortuna gravemente al menisco del ginocchio destro rischiando di dover abbandonare il calcio giocato, a quei tempi era un trauma non facilmente curabile e poteva mettere fine alla carriera di un calciatore. Fortunatamente verrà operato da uno dei più famosi medici viennesi e potrà tornare a giocare in meno di un anno. L’inconscia paura di ripetersi infortunare nuovamente lo tormenterà per il resto della sua carriera: da quel momento in poi giocherà sempre con una fascia elastica sul ginocchio infortunato.

L’anno seguente l’Herta, a causa dei dissesti finanziari in cui navigava, dovette cedere i miglior giocatori; Sindeler aveva anche valutato di venir a giocar in Italia, a Trieste, salvo poi scegliere di rimanere in patria nell’Austria Vienna, squadra a cui rimarrà fino alla fine della sua carriera.
Grazie alle sue giocate di alta classe ed alla presenza di altri campioni austriaci ed ungheresi questa squadra diventa una delle più forti compagini europee, arrivando a vincere tutto quello che era possibile. Fu in questo periodo che sviluppò una sorta di allergia all’allenamento privilegiando altre attività: pare che lo vedessero di più le tenutarie di bordelli che l’allenatore durante la settimana.
Una situazione di cui il ct era disposto a chiudere un occhio, anzi entrambi, visto che solitamente la domenica Cartavelina consegnava la vittoria alla squadra.
Inoltre Sindelar sarà uno dei pionieri di quei calciatori-pubblicità, che prestano la loro immagine a fine commerciale

Nel 1926 entrerà a far parte della nazionale dove realizzerà prestazioni eccezionali tanto da riuscire a partecipare al Mondiale del 1934 in terra italiana.
In quella edizione dei giochi l’Austria si classificherà quarta, eliminata proprio dagli azzurri in una partita molto contestata e probabilmente pilotata dal Duce. In quel incontro Sindeler verrà marcato da Luisito Monti, il mastino di Pozzo, marcatura talmente efficace da farlo finire in ospedale per essere rimesso in sesto.
In quel periodo di riposo forzato conobbe Camilla Castagnola, giovane infermiera, studentessa di tedesco, italiana di origine milanese, fascista ed ebrea. Diventerà sua moglie.

Questo era l’uomo che guidò l’Austria durante la sua ultima partita; fu lo stesso Sindeler ad obbligare la squadra a rispolverare le vecchie divise bianche e rosse, gli stessi colori della bandiera austriaca, ormai ammainata.
La partita, sostanzialmente equilibrata, anche se i tedeschi faticano molto a star dietro alle giocate di “cartavelina”, termina il primo tempo a reti bianche.
Al 62° è proprio il capitano Sindeler a sbloccare il risultato con un preciso colpo di destro. Correrà a festeggiare con una sorta di irrisorio balletto sotto la tribuna dove sono seduti i dignitari tedeschi..
Al 71°, il terzino Sesta calcia il pallone da 40 metri, che assumendo una strana traiettoria, si insacca sul fondo della rete per il 2 a 0; risultato che non cambierà fino alla fine dell’incontro.
Questo canto del cigno del Wunderteam ha dimostrato che almeno la dignità non può essere ammessa con la forza.
Il protocollo impone che le formazioni, prima di uscire, debbano fare il saluto a braccio teso verso i gerarchi presenti nelle tribune d’onore. Lo fanno tutti, tranne Sesta e Sindeler che non salutano e restano con le braccia lungo i fianchi sotto gli sguardi irritati delle autorità naziste.
Sindeler odia l’Anschluss, odia i nazisti ed odia Hitler, sia per motivi politici, sia per orgoglio nazionale, sia per amore; ecco i motivi perché non tende quel braccio.
Inoltre rifiuta categoricamente di far parte della nazionale tedesca, sostenendo di aver ormai troppi anni per continuare a giocare ed il ginocchio malandato.
Due gesti che gli costeranno cari.
Già Goebbels lo aveva velatamente minacciato dopo l’incontro, in seguito anche la Gestapo, ma veniva sempre guardato con un occhio di riguardo: troppo famoso ed inoltre pensavano che, magari per spavento, decidesse di giocare nella nazionale teutonica.

Intanto attorno a lui la situazione comincia a precipitare e, se non per i calciatori, il maglio delle leggi razziali colpisce i dirigenti sportivi. Uno tra tutti è Michl Schwarz,ebreo ed ex presidente del FK, che ormai vive come un reietto, dimenticato da tutti, tranne che da Matthias:
“-Il nuovo Führer dell'Austria Vienna ci ha proibito di salutarla, ma io vorrò sempre dirle "Buongiorno" ogni volta che avrò la fortuna di incontrarla.
Cartavelina giocherà qualche altra partita, l’ultima proprio contro l’Herta, solo perché la Gestapo glielo permette per la sua popolarità.
Grazie all’intervento dell’allenatore della nazionale italiana Pozzo, riesce ad entrare nello stadio di Parigi per assistere alla finale dei mondiali tra gli azzurri e gli ungheresi, la Germania venne eliminata, a sorpresa, dalla Svizzera agli ottavi.
Quando il pubblico parigino, fortemente anti-nazista, si rese conto della presenza del campione sugli spalti incominciò ad intonare la Marsigliese; Sindeler capì che quel saluto negato mesi prima aveva avuto un’eco anche fuori dai confini del Reich,
Scelse di ritornare in Austria e di non scappare, anche quando ne ebbe avuto l’occasione, per restare come punto di forza e di speranza per chi non ne aveva la possibilità di farlo.
Durante la notte dei cristalli la sua casa venne assalita dalla folla ma lui e sua moglie non vennero toccati, il calciatore si rese conto però di essere diventato una pedina sacrificabile.

Il 23 gennaio1939 Sindeler viene ritrovato morto assieme a sua moglie nella loro abitazione dalla Gestapo. Si dirà esalazioni di monossido di carbonio a causa di una stufa difettosa, si dirà suicidio per depressione, chi omicidio politico. La Gestapo li farà cremare e seppellire in gran fretta tra mille dubbi, reticenze, sospetti e testimonianze contrarie e soprattutto farà sparire tutti i documenti del caso nel buco nero delle vicende che è meglio lasciar scivolare nella penombra.
Il giorno dei funerali oltre 40000 tifosi accompagnavano in silenzio il feretro piangendo, come piangeva chi lo seguiva dai balconi e dalle terrazze.
Oltre 15000 telegrammi di condoglianze arrivarono nella sede dell’Austria Vienna.

Quel giorno veniva sepolto un eroe e con lui una nazione intera inglobata nell’espansionismo nazista, ma mi piace pensare che mentre la città salutava per l’ultima volta il suo campione, diventato uno dei tanti, troppi simboli della follia hitleriana, qualcuno abbia trovato nel gesto di quel saluto rifiutato, la forza di resistere in quei tempi che si presentavano durissimi.
Lui, così scheletrico ed esile, si ergeva contro il nazismo che invase il suo paese; una carta velina sì, ma che Hitler non riuscì a piegare.




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