3 aprile 1938
L’eco degli stivali che marciano al passo dell’oca rimbomba
lungo le vie di Vienna, la svastica sventola su bandiere e striscioni in un
clima apparentemente festoso, in realtà imposto a suon di ordinanze dal regime
nazista.
Si festeggia l’ Anschluss, l’annessione dell’Austria alla
Germania del Furher che la trasformerà da stato sovrano in anonima provincia,
avvenuta alcuna settimane prima
60000 spettatori sono assiepati sugli spalti del Prater per
guardare l’incontro calcistico organizzato per suggellare l’evento: la Germania si scontrerà
contro l’Austria, per quella che passerà alla storia come l’Anchlussspiel, la
partita della riunificazione.
Per la nazionale austriaca sarà l’ultima partita che
giocherà in quando i calciatori, diventati tedeschi, verranno integrati
nell’undici di Berlino. Per l’occasione hanno avuto un “permesso speciale” per
disputare questo incontro con il quale saluteranno il proprio pubblico prima
dello scioglimento.
Finisce così la leggenda del Wunderteam, la squadra delle
meraviglie, che per anni ha dato vita ad un gioco veloce e spettacolare, sotto
la guida del ct Hugo Meisl, purtroppo morto poco tempo prima di questa sfida.
A guidarli sarà Matthias Sindelar.
Matthias Sindelar, detto “Der Papierene”, Cartavelina, è il
35enne capitano dell’ Austria Vienna e della nazionale, autentico fuoriclasse,
dal gioco molto intelligente e dal fisico asciutto in modo impressionante, da
cui il soprannome.
Alto, scheletrico, occhi azzurri infossati, non sembrava
nemmeno uno sportivo, eppure era anche denominato “il Mozart del pallone” per
via della sua armoniosità nei movimenti, controllo palla, abilità nel dribbling
e nello smarcarsi dagli avversari
Nasce nel 1903,
a Kozlov, un paesino nella Moravia, oggi Repubblica
Ceca, che ai quei tempi faceva parte dell’impero austro-ungarico, da famiglia
cattolica (anche se alcuni la descrissero ebrea), operaia e molto povera che
alcuni anni dopo emigrò a Vienna per cercare di migliorare la propria
condizione.
Il piccolo Matthias comincia dare i primi calci ad un pallone, dimostrando grande talento soprattutto
nel dribbling.
Nel 1917 la famiglia Sindelar riceve un brutto colpo: il
padre Jan, muratore, muore sul fronte nella battaglia dell’Isonzo pertanto il
futuro campione è costretto a trovare lavoro per aiutare economicamente la
propria madre lavandaia e le tre sorelle, finirà in una piccola officina
meccanica.
Ma nei suoi pensieri c’è sempre il pallone e la sua classe
non passa inosservata, infatti gli osservatori
dell’Herta ASV di Vienna, dopo averlo tesserato, a soli 18 anni lo fanno
debuttare nella massima serie austriaca.
Nel 1923,
a causa di una caduta in piscina, si infortuna
gravemente al menisco del ginocchio destro rischiando di dover abbandonare il
calcio giocato, a quei tempi era un trauma non facilmente curabile e poteva
mettere fine alla carriera di un calciatore. Fortunatamente verrà operato da
uno dei più famosi medici viennesi e potrà tornare a giocare in meno di un
anno. L’inconscia paura di ripetersi infortunare nuovamente lo tormenterà per
il resto della sua carriera: da quel momento in poi giocherà sempre con una
fascia elastica sul ginocchio infortunato.
L’anno seguente l’Herta, a causa dei dissesti finanziari in
cui navigava, dovette cedere i miglior giocatori; Sindeler aveva anche valutato
di venir a giocar in Italia, a Trieste, salvo poi scegliere di rimanere in
patria nell’Austria Vienna, squadra a cui rimarrà fino alla fine della sua
carriera.
Grazie alle sue giocate di alta classe ed alla presenza di
altri campioni austriaci ed ungheresi questa squadra diventa una delle più
forti compagini europee, arrivando a vincere tutto quello che era possibile. Fu
in questo periodo che sviluppò una sorta di allergia all’allenamento
privilegiando altre attività: pare che lo vedessero di più le tenutarie di
bordelli che l’allenatore durante la settimana.
Una situazione di cui il ct era disposto a chiudere un
occhio, anzi entrambi, visto che solitamente la domenica Cartavelina consegnava
la vittoria alla squadra.
Inoltre Sindelar sarà uno dei pionieri di quei
calciatori-pubblicità, che prestano la loro immagine a fine commerciale
Nel 1926 entrerà a far parte della nazionale dove realizzerà
prestazioni eccezionali tanto da riuscire a partecipare al Mondiale del 1934 in terra italiana.
In quella edizione dei giochi l’Austria si classificherà
quarta, eliminata proprio dagli azzurri in una partita molto contestata e
probabilmente pilotata dal Duce. In quel incontro Sindeler verrà marcato da
Luisito Monti, il mastino di Pozzo, marcatura talmente efficace da farlo finire
in ospedale per essere rimesso in sesto.
In quel periodo di riposo forzato conobbe Camilla
Castagnola, giovane infermiera, studentessa di tedesco, italiana di origine
milanese, fascista ed ebrea. Diventerà sua moglie.
Questo era l’uomo che guidò l’Austria durante la sua ultima
partita; fu lo stesso Sindeler ad obbligare la squadra a rispolverare le
vecchie divise bianche e rosse, gli stessi colori della bandiera austriaca,
ormai ammainata.
La partita, sostanzialmente equilibrata, anche se i tedeschi
faticano molto a star dietro alle giocate di “cartavelina”, termina il primo
tempo a reti bianche.
Al 62° è proprio il capitano Sindeler a sbloccare il
risultato con un preciso colpo di destro. Correrà a festeggiare con una sorta
di irrisorio balletto sotto la tribuna dove sono seduti i dignitari tedeschi..
Al 71°, il terzino Sesta calcia il pallone da 40 metri, che assumendo
una strana traiettoria, si insacca sul fondo della rete per il 2 a 0; risultato che non
cambierà fino alla fine dell’incontro.
Questo canto del cigno del Wunderteam ha dimostrato che
almeno la dignità non può essere ammessa con la forza.
Il protocollo impone che le formazioni, prima di uscire,
debbano fare il saluto a braccio teso verso i gerarchi presenti nelle tribune
d’onore. Lo fanno tutti, tranne Sesta e Sindeler che non salutano e restano con
le braccia lungo i fianchi sotto gli sguardi irritati delle autorità naziste.
Sindeler odia l’Anschluss, odia i nazisti ed odia Hitler,
sia per motivi politici, sia per orgoglio nazionale, sia per amore; ecco i
motivi perché non tende quel braccio.
Inoltre rifiuta categoricamente di far parte della nazionale
tedesca, sostenendo di aver ormai troppi anni per continuare a giocare ed il
ginocchio malandato.
Due gesti che gli costeranno cari.
Già Goebbels lo aveva velatamente minacciato dopo
l’incontro, in seguito anche la
Gestapo, ma veniva sempre guardato con un occhio di riguardo:
troppo famoso ed inoltre pensavano che, magari per spavento, decidesse di
giocare nella nazionale teutonica.
Intanto attorno a lui la situazione comincia a precipitare
e, se non per i calciatori, il maglio delle leggi razziali colpisce i dirigenti
sportivi. Uno tra tutti è Michl Schwarz,ebreo ed ex presidente del FK, che
ormai vive come un reietto, dimenticato da tutti, tranne che da Matthias:
“-Il nuovo Führer dell'Austria Vienna ci ha proibito
di salutarla, ma io vorrò sempre dirle "Buongiorno" ogni volta che
avrò la fortuna di incontrarla.
Cartavelina giocherà qualche altra partita, l’ultima proprio
contro l’Herta, solo perché la
Gestapo glielo permette per la sua popolarità.
Grazie all’intervento dell’allenatore della nazionale
italiana Pozzo, riesce ad entrare nello stadio di Parigi per assistere alla
finale dei mondiali tra gli azzurri e gli ungheresi, la Germania venne eliminata,
a sorpresa, dalla Svizzera agli ottavi.
Quando il pubblico parigino, fortemente anti-nazista, si
rese conto della presenza del campione sugli spalti incominciò ad intonare la Marsigliese; Sindeler
capì che quel saluto negato mesi prima aveva avuto un’eco anche fuori dai
confini del Reich,
Scelse di ritornare in Austria e di non scappare, anche
quando ne ebbe avuto l’occasione, per restare come punto di forza e di speranza
per chi non ne aveva la possibilità di farlo.
Durante la notte dei cristalli la sua casa venne assalita
dalla folla ma lui e sua moglie non vennero toccati, il calciatore si rese
conto però di essere diventato una pedina sacrificabile.
Il 23 gennaio1939 Sindeler viene ritrovato morto assieme a
sua moglie nella loro abitazione dalla Gestapo. Si dirà esalazioni di monossido
di carbonio a causa di una stufa difettosa, si dirà suicidio per depressione,
chi omicidio politico. La
Gestapo li farà cremare e seppellire in gran fretta tra mille
dubbi, reticenze, sospetti e testimonianze contrarie e soprattutto farà sparire
tutti i documenti del caso nel buco nero delle vicende che è meglio lasciar
scivolare nella penombra.
Il giorno dei funerali oltre 40000 tifosi accompagnavano in
silenzio il feretro piangendo, come piangeva chi lo seguiva dai balconi e dalle
terrazze.
Oltre 15000 telegrammi di condoglianze arrivarono nella sede
dell’Austria Vienna.
Quel giorno veniva sepolto un eroe e con lui una nazione
intera inglobata nell’espansionismo nazista, ma mi piace pensare che mentre la
città salutava per l’ultima volta il suo campione, diventato uno dei tanti,
troppi simboli della follia hitleriana, qualcuno abbia trovato nel gesto di
quel saluto rifiutato, la forza di resistere in quei tempi che si presentavano
durissimi.
Lui, così scheletrico ed esile, si ergeva contro
il nazismo che invase il suo paese; una carta velina sì, ma che Hitler non
riuscì a piegare.
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