Mi è capitato un pomeriggio di scovare, su uno di quei canali televisivi improbabili, “El Alamein, la linea
del fuoco”, film del 2002 di Enzo Monteleone, interpretato da attori giovani come Solfrizzi, Favino
e Sanpaoli. Per i fans delle esplosioni e sparatorie risulta deludente, poiché
incentrato sulle vicende umane ed il disagio della truppa invece che sull’azione
bellica di per sé.
Toccanti le ultime scene, girate all’interno del sacrario
militare, una carrellata di immagini che mostrano i nomi delle lapidi dei
caduti per culminare poi nella stanza degli sconosciuti.
Monteleone ci insegna con quale spirito bisogna entrare
dentro un sacrario; scopriamo che non servono monumenti in bronzo o vittorie
alate, bastano i nomi, a volte neanche quelli perché talvolta è sufficiente la
parola “ignoto” scolpita su di una lapide per farci provare una stretta al
cuore, dove i sentimenti di rispetto si associano alla rabbia.
Nel gennaio del 2004 organizzai con alcuni amici un
viaggio in Egitto, un tour attraverso le
oasi del deserto in jeep., lontani dai soliti circuiti turistici.
Una delle tappe era il Sacrario Militare di El Alamein.
La visita mi toccò profondamente, soprattutto quando lessi
alcune lapidi che portavano il mio cognome. Il mio pensiero subito volò a quei poveri soldati, strappati dalle loro
case e fatti morire nelle calde sabbie del deserto egiziano; magari ragazzi
della mia età che la notte piangevano e chiamavano la madre.
Decisi in quel momento che avrei studiato tutto su quel
triste capitolo ma non per impararne la Storia ma le storie, quelle dei quei
silenziosi eroi, male armati, coperti di stracci ma valorosi, capaci di eroismi
contro un nemico troppo forte ed un alleato troppo sprezzante.
Tra i moltissimi valorosi noti e ancor di più quelli
anonimi, sicuramente Leandro Franchi spicca nel ricordo di chi operò in quel
incandescente crogiolo.
Romano, classe 1920 figlio di una modestissima famiglia,
orfano di madre e padre invalido dalla Prima Guerra Mondiale, giovanissimo
lasciò gli studi per cercare un lavoro, con cui dare un sostanzioso aiuto in
casa.
Trova però il tempo di praticare il podismo, il ciclismo e la
boxe, sport in cui eccellerà arrivando ad affermarsi a livello nazionale,
battendo l’olimpionico Rodriguez
Nel 1940 arriva la chiamata militare e parte bersagliere per
la Libia, dove rimane ferito. Ripresosi entra volontario nel corpo dei
paracadutisti; superato il corso a Tarquinia e quello di sabotatore a Firenze,
viene mandato in Africa con la divisione “Folgore” nel luglio del 1942.
La sera del 23 ottobre, mentre è assieme ad altri
paracadutisti, un colpo dell’artiglieria inglese centra la buca dove sono
nascosti, uccidendo un soldato e ferendolo al braccio destro ed a una gamba. A
mezzanotte il nemico scatena l’inferno e, poiché le linee telefoniche erano
state interrotte, Franchi si offre volontario per andarle a riallacciarle.
Purtroppo il bombardamento aveva sconvolto l’intero sistema, pertanto l’impresa
non riesce, anzi rimane ferito nuovamente al braccio già leso ma rifiuta di
farsi medicare.
Il giorno successivo si offre volontario per togliere una
fascia minata in modo che dei corazzati tedeschi possano andare al
contrattacco. Contrattacco che non avrà esito positivo. Si rende necessario
perciò, dopo il rientro dei mezzi, ripristinare l’integrità del campo minato,
ancora una volta il nostro si offre volontario ed opera efficacemente all’opera
difensiva.
La notte la fanteria inglese torna alla carica, si accendono
furiosi corpo a corpo, ma il nucleo dove si trova Franchi viene sopraffatto da
forze preponderanti e viene fatto prigioniero. Con lui vi è un colonnello
ferito agli occhi e un tenente gravemente ferito; Franchi si opera
soccorrendoli come può e cercando di rincuorarli.
All’arrivo della notte successiva il giovane paracadutista
agisce per tentare l’evasione: striscia silenziosamente, nonostante le ferite
dei giorni prima siano tremendamente doloranti, verso la prima sentinella.
Raccolte le forze ci si avventa contro, sferrandogli un poderoso pugno allo
stomaco che la fa stramazzare al suolo, sottratto il pugnale alla guardia la
ferisce mortalmente al petto. Mano sulla bocca e 3-4 pugnalate alla schiena
riesce ad avere la meglio anche sulla seconda sentinella. Assale furiosamente
la terza avvinghiandosi in un furioso corpo a corpo e la uccide mentre gli
altri prigionieri riescono a sbarazzarsi dell’ultima sentinella accorsa in
aiuto. Franchi si carica sulle spalle il tenente ferito, con una cinghia si
tira dietro colonnello cieco e guida il gruppo verso le prime linee italiane.
La marcia dura 3 durissime ed estenuanti ore.
Arrivati al primo caposaldo tricolore non vengono
riconosciuti e gli viene riversata una raffica di mitragliatrice che lo centra
di striscio al petto ed a una coscia. Dissanguato e stremato riesce a farsi
riconoscere; dopo esse stato raccolto e sommariamente medicato viene messo in
attesa per essere trasportato all’ospedale da campo divisionale. Alla
mitragliatrice che fece fuoco vi era il suo migliore amico. Ma il caposaldo
viene attaccato dagli inglesi e difeso strenuamente dagli italiani. Un gruppo
irrompe nella postazione di Franchi ed un soldato australiano vibra 3 colpi di
pugnale sul capo del giovane impossibilitato a qualsiasi forma di difesa.
L’ultimo affondo rompe addirittura la lama che resta conficcata nella testa
dell’eroico paracadutista.
Confuso tra i morti di entrambi gli schieramenti il soldato
resta esanime per ore, ma non è ancora morto. Si riprende quando è notte, per
lui sarebbe notte comunque anche a mezzogiorno poiché è quasi cieco, Vede solo
alcuni particolari, come se guardasse attraverso una benda. La zona ormai è in
mano al nemico ed è sorvegliata da due sentinelle. Trova una pistola nella
fondina di un cadavere di un ufficiale e con quella riesce ad uccidere i due
inglesi. Riesce a trovare anche un cavo telefonico e seguendo a carponi l’itinerario
di questo esile legame raggiunge una postazione di paracadutisti che lo
soccorrono e lo spediscono ad un ospedale da campo. Per giorni Franchi rimane con
la lama conficcata nel cranio poiché nessun medico ha il coraggio di estrarla per paura delle
complicazioni. Serviranno due trapanazioni del cranio per rimuoverla.
Gli viene somministrata anche l’estrema unzione poiché dopo
gli interventi sembrava non vi fosse più segno di vita. Ma avviene il miracolo,
Franchi si riprende, biascica qualche parola, distingue qualcosa.
Due anni di ricovero al Celio tra elettroshock, cure, calotta d’argento,
riabilitazione muscolare le mettono in condizione di muoversi, vedere e
parlare.
Medaglia d’oro al valore morì in seguito ad una banale
caduta di bicicletta.
Franchi nelle sue incredibili vicende, nel martirio delle
carni e la fede incrollabile che lo sorresse è il prototipo del vero eroe,
della tempra dei giovani di quel tempo, disposti a morire per un ideale di
patria e dovere.
Oggi l’eroe è chi sa calciare meglio in porta, chi corre più
veloce su di una pista, ma anche chi beve di più durante una serata, chi sa
conquistare decine di ragazze, chi sa alzare di più la cresta.
Franchi invece mi ha insegnato che l’eroe è la persona
umile, che sparisce dalla scacchiera della vita in silenzio, che sa donare
tutto quel che ha, anche la propria vita per dei valori, che sa combattere
contro il proprio nemico con ardore ma anche con rispetto.
FRA LE SABBIE NON PIU’ DESERTE SONO QUI DI PRESIDIO PER
L’ETERNITA’
I RAGAZZAI DELLA FOLGORE FIOR FIORE DI UN POPOLO E DI UN
ESERCITO
IN ARMI. CADUTI PER UN’IDEA, SENZA RIMPIANTI, ONARATI DAL
RICORDO
DELLO STESSO NEMICO. ESSI ADDITANO AGLI ITALIANI NELLA BUONA
E NELLA AVVERSA FORTUNA IL CAMMINO DELL’ONORE E DELLA GLORIA.
VIANDANTE ARRESTATI E RIVERISCI
DIO DEGLI ESERCITI ACCOGLI GLI SPIRITI DI QUESTI RAGAZZI
IN QUELL’ANGOLO DEL CIELO CHE RISERBI AI MARTIRI E
AGLI EROI
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