Michele Moretti, classe 1908, non è mai diventato un
calciatore famoso.
Terzino destro roccioso, duro, i suoi momenti migliori in
carriera li ebbe nella sua città natale Como; è uno dei pilastri della difesa della Comense,
squadra che nella stagione 1929-30 rimane imbattuta nel campionato di seconda
divisione, guadagnando la promozione in serie B (ed una coppa in perenne
ricordo dell’impresa) e sfiorando la
promozione in A nell’anno seguente.
Nato da umili origini, suo padre Fedele era ferrotranviere
(licenziato nel 1922 perché socialista), trovò lavoro come operaio presso una
cartiera, inoltre entrò tra le fila del Partito Comunista clandestino.
Arrestato dalla polizia fascista in seguito a degli scioperi negli anni 1943-44,
viene internato nel campo di raccolta di Sesto San Giovanni per essere
deportato poi in Germania. Da li riesce a fuggire ed a unirsi a dei gruppi
partigiani che operavano nelle montagne dell’alto Lago di Como, prendendo il
nome di battaglia di “Pietro Gatti” e contribuendo a formare la 52° brigata
Garibaldi “Luigi Clerici”.
Anche la moglie Teresa entra nel gruppo partigiano come
staffetta
Il 27 aprile del 1945 Michele-Pietro, si appresta a vivere
l’episodio più importante della sua vita: a Dongo, in un posto di blocco, la
compagnia partigiana cattura l’ex capo del fascismo Benito Mussolini, la sua
donna Claretta Petacci assieme ad altri gerarchi.
Tra la fretta di agire e la paura di un colpo di mano da
parte di squadroni di fascisti per liberare l’ex duce decidono di fucilarli.
Nel commando che metterà fine all’ultimo capitolo del
fascismo ci saranno: il colonnello “Valerio” , “Guido” .venuti appositamente da
Milano, ed il nostro Michele “Pietro”.
Alle 16 del 28 aprile, davanti a Villa Belmonte, “Valerio” si appresta all’esecuzione di
Mussolini e della sua amante, l’arma pero si inceppa e perciò ordina a Gatti di
porgergli la sua, un mitra Mas 7,65.
Questa volta l’arma non si inceppa.
Il ritorno alla normalità non sarà facile. Deve fuggire in
Jugolasvia, in seguito ad un mandato di cattura sulla vicenda “oro del Dongo”.
Tornerà in Italia 2 anni dopo, quando la denuncia verrà
ritirata.
Schivo ad ogni riconoscimento tornerà a fare l’operaio,
sempre però ricoprendo cariche sindacali. Al licenziamento a causa di lotte
operaie decise di mettersi in autonomo facendo l’artigiano, attività che durerà
fino alla sua morte nel 1995.
Per quanto riguarda le vicende che lo hanno visto
protagonista mantenne sempre una rigorosa
riservatezza, nelle poche interviste sostenne sempre la versione
ufficiale sulla morte di Mussolini, anche se negli ultimi periodi ammise una
diretta responsabilità sull’esecuzione dell’ex duce e della sua amante.
Ulteriori studi ed esami sostengono che molto probabilmente sia stato proprio
l’ex giocatore a spegnere la vita dei due condannati.
In una intervista del 1990 del Corriere dello Sport e pubblicata nel 1995, il 25 aprile,
Michele non esita ad indicare gli anni
trascorsi da calciatore quali i più belli della sua vita: i campionati con la
Comense, l’accoglienza della gente in città a campionato vinto e
quell’allenamento con la Nazionale di serie A, quando riceve un duro colpo
dall’italo-argentino Attila Sallustro, che a Napoli gioca da campione, e lui
non esita a restituirglielo.
Il c.t. Pozzo nell’intervallo lo rimproverò, sostenendo che
la domenica successiva Sallustro avrebbe dovuto indossare la maglia azzurra.
Candidamente lui rispose che gli dispiaceva solamente che le sue spalle non
valevano come quelle degli altri e che non era disposto a subire colpi
gratuiti.
E che non è mai stato abituato a subirne, aggiungo io, e la
sua vita da operaio e partigiano sta a
dimostrarlo.
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