domenica 6 luglio 2014

Il terzino con il mitra

Michele Moretti, classe 1908, non è mai diventato un calciatore famoso.
Terzino destro roccioso, duro, i suoi momenti migliori in carriera li ebbe nella sua città natale Como;  è uno dei pilastri della difesa della Comense, squadra che nella stagione 1929-30 rimane imbattuta nel campionato di seconda divisione, guadagnando la promozione in serie B (ed una coppa in perenne ricordo dell’impresa) e sfiorando  la promozione in A nell’anno seguente.
Nato da umili origini, suo padre Fedele era ferrotranviere (licenziato nel 1922 perché socialista), trovò lavoro come operaio presso una cartiera, inoltre entrò tra le fila del Partito Comunista clandestino. Arrestato dalla polizia fascista in seguito a degli scioperi negli anni 1943-44, viene internato nel campo di raccolta di Sesto San Giovanni per essere deportato poi in Germania. Da li riesce a fuggire ed a unirsi a dei gruppi partigiani che operavano nelle montagne dell’alto Lago di Como, prendendo il nome di battaglia di “Pietro Gatti” e contribuendo a formare la 52° brigata Garibaldi “Luigi Clerici”.
Anche la moglie Teresa entra nel gruppo partigiano come staffetta
Il 27 aprile del 1945 Michele-Pietro, si appresta a vivere l’episodio più importante della sua vita: a Dongo, in un posto di blocco, la compagnia partigiana cattura l’ex capo del fascismo Benito Mussolini, la sua donna Claretta Petacci assieme ad altri gerarchi.
Tra la fretta di agire e la paura di un colpo di mano da parte di squadroni di fascisti per liberare l’ex duce decidono di fucilarli.
Nel commando che metterà fine all’ultimo capitolo del fascismo ci saranno: il colonnello “Valerio” , “Guido” .venuti appositamente da Milano, ed il nostro Michele “Pietro”.
Alle 16 del 28 aprile, davanti a Villa Belmonte,  “Valerio” si appresta all’esecuzione di Mussolini e della sua amante, l’arma pero si inceppa e perciò ordina a Gatti di porgergli la sua, un mitra  Mas 7,65.
Questa volta l’arma non si inceppa.



Il ritorno alla normalità non sarà facile. Deve fuggire in Jugolasvia, in seguito ad un mandato di cattura sulla vicenda “oro del Dongo”.
Tornerà in Italia 2 anni dopo, quando la denuncia verrà ritirata.
Schivo ad ogni riconoscimento tornerà a fare l’operaio, sempre però ricoprendo cariche sindacali. Al licenziamento a causa di lotte operaie decise di mettersi in autonomo facendo l’artigiano, attività che durerà fino alla sua morte nel 1995.
Per quanto riguarda le vicende che lo hanno visto protagonista mantenne sempre una rigorosa  riservatezza, nelle poche interviste sostenne sempre la versione ufficiale sulla morte di Mussolini, anche se negli ultimi periodi ammise una diretta responsabilità sull’esecuzione dell’ex duce e della sua amante. Ulteriori studi ed esami sostengono che molto probabilmente sia stato proprio l’ex giocatore a spegnere la vita dei due condannati.


In una intervista del 1990 del Corriere dello  Sport e pubblicata nel 1995, il 25 aprile, Michele non  esita ad indicare gli anni trascorsi da calciatore quali i più belli della sua vita: i campionati con la Comense, l’accoglienza della gente in città a campionato vinto e quell’allenamento con la Nazionale di serie A, quando riceve un duro colpo dall’italo-argentino Attila Sallustro, che a Napoli gioca da campione, e lui non esita a restituirglielo.
Il c.t. Pozzo nell’intervallo lo rimproverò, sostenendo che la domenica successiva Sallustro avrebbe dovuto indossare la maglia azzurra. Candidamente lui rispose che gli dispiaceva solamente che le sue spalle non valevano come quelle degli altri e che non era disposto a subire colpi gratuiti.

E che non è mai stato abituato a subirne, aggiungo io, e la sua vita da operaio e partigiano  sta a dimostrarlo.

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