L’altro giorno, mentre stavo facendo colazione al bar, ascoltavo
sommessamente la conversazione tra un avventore e i dipendenti dell’esercizio
commerciale.
Il cliente sosteneva con forza il fatto che le donne si son
troppo emancipate e che per lui bisognerebbe trattarle all’antica, relegandole
in casa, al massimo uscire per far la spesa, e quando il compagno torna dal
lavoro fargli trovare la cena pronta e, se capita, anche disponibili
sessualmente.
Non so se parlava di più l’ignoranza o un trauma infantile; chissà
se a casa comanda davvero lui?!
Questo discorso mi portò alla mente un personaggio di cui
aveva fatto del suo maschilismo un punto di forza: Bobby Riggs.
Sportivo stravagante, eccessivo e ridondante, precursore di
quel tennis spettacolare per gioco e comportamento, capostipite di quei
giocatori capricciosi come McEnroe e Nastase, tanto simili a loro per poca
voglia di allenarsi unito ad un talento eccezionale.
Bobby Riggs nasce a Los Angeles, nel 1918, sul finire della
prima guerra mondiale.
Da ragazzino si distinse come ottimo giocatore di ping-pong,
ma probabilmente la sua personalità dilagante stava un po’ troppo stretta su
quel tavolo da gioco; le dimensioni di un campo da tennis meglio si adattavano
al suo talento.
Capelli a cespuglio rossi, basso di statura al confronto dei
giocatori più forti del suo tempo, fece di tattica ed astuzia le sue armi più
affilate, inanellando una incredibile serie di trofei vinti negli anni,
arrivando ad essere il numero uno al mondo nel 1946, nonostante la sua carriera
abbia subito un brusco arresto a causa degli eventi bellici che sconvolsero il
mondo.
Eppure il campione
californiano era tanto eccentrico quanto forte, sempre a caccia di nuovi
stimoli: arrivò a scommettere su se stesso, solo così sono spiegabili certe sue
eclatanti sconfitte, o scendendo in campo dopo due boccali di birra.
Ma dal 1950 per lui comincia la parabola discendente:
diventa sempre più difficile contrastare i giocatori più giovani, pertanto
decide di ritirarsi dal tennis giocato.
Rimane comunque nei circuiti come organizzatore e promotore
di eventi sportivi; alcuni anni dopo decide di ritirarsi definitivamente dal
mondo delle racchette e per quasi 20 anni non se ne sente più parlare.
Ma per uno scapestrato come lui è dura vivere
silenziosamente dietro le quinte, fu così che nel 1973 organizzò uno
spettacolare rientro che catalizzò l’attenzione di tutti i media americani e
mondiali.
In pieno periodo delle lotte per l’emancipazione femminile e
la parità tra i sessi Bobby Riggs si autodefinì il “Maiale sciovinista”
inventandosi quella che passerà alla storia come la “Battaglia dei sessi”.
Forte di dichiarazioni
come: “Un uomo non potrà mai perdere da una donna”, “Il
tennis giocato dalle donne è ridicolo, le migliori non possono nemmeno battere
un vecchio con un piede nella tomba” o,“Le donne che giocano a tennis sono di
una razza inferiore”, o “ Il posto delle donne è il letto e la cucina, in
quest’ordine”, sfidò la numero uno al mondo: Margharet Smith Court.
Lui,
ormai 55enne, riuscì a sconfiggere lei,
con 24 anni in meno con un secco 6-2, 6-1, in quello che verrà definite il
“Mother day massacre”
Ma
per Riggs, ormai imbaldanzito dai riflettori nuovamente puntati su di lui,
questa vittoria non bastava, ne occorreva una simbolica; ecco che arrivò a
sfidare Billie Jean King, una donna che
con le sue molte vittorie ed iniziative sociali fungeva da promotrice di
coscienza sportive femminile.
L’icontro,
che ebbe una forte risonanza mediatica, fu trasmesso su ogni rete televisiva,
che videro l’occasione di promuovere quello sport un po' snobbato e nello stesso
tempo promuovere anche il diritto femminile.
La
King si present sul campo su di un baldacchino fiorito e con lunghi colorati
pennacchi, trasportato da 4 baldi fusti, della squadra universitaria di
football vestita come una sorta di Cleopatra Kitsch.
Il
californiano, per non essere da meno, si presentò su di un risciò trainato da
modelle in abiti succinti.
Per
l’incontro la campionessa aveva ben studiato le tattiche di Riggs e per tutta
durata della competizione mirò a
fiaccarne la resistenza contenendo i tiri corti ed i pallonetti dell’avversario
e obbligandolo a correre su e giù per il terreno di gioco con precisi colpi
angolati.
L’incontro
finì per 6-4. 6-3, 6-3 in favore della King.
Il
maiale sciovinista fu sconfitto non solo da lei ma da tutto il movimento che
lei stessa rappresentava.
Eppure
lo spirito di protagonismo di Riggs fatto di stranezze e di provocazioni erano
solo parte del suo personaggio di saltimbanco buontempone ed eccentrico.
Il
suo giocare vestito da donna, l’indossare magliette con raffigurato un maiale, quel
fingersi sciovista in maniera smargiassa era il miglior modo di mettere in
ridicolo gli sciovinisti very e bacchettoni; l’ironia del californiana
spogliava questi personaggi di ogni credibilità e rispettabilità, mettendo a
nudo il loro aspetto più ridicolo ed anacronistico.
Anche
la King lo capì e lo definì il suo “sciovinista preferito”, divennero molto
amici, un rapporto che sì cementò con gli anni.
L’ultimo
capitolo della battaglia dei sessi, almeno per Riggs, si chiuse nel 1985, ormai
67enne accettò di giocare in coppia con il lituano Gerulaitis contro la più forte
coppia femminile del tempo: Navratilova- Shiver.
Dapprima ammirato per il coraggio dimostrato per
essere sceso in campo nonostante l’età, fu poi aspramente criticato per esser
ormai una pallida e grottesca caricature di se stesso ma sopratutto di esser
stato un peso per il compagno. Si imposero le donne per 6-3, 6-2, 6-4.
Ammalatosi
di cancro alla prostate si spense nel
1995; negli ultimi anni della sua vita fondò il “Museo del tennis di Bobby
Riggs” dove tutti proventi della fondazione che gestisce il museo vanno tuttora
alla ricerca sul cancro.
Pochi
giorni prima di morire Riggs ricevette una telefonata dalla King e durante la
conversazione il californiano disse:” «Be’, ce l’abbiamo fatta. Abbiamo davvero fatto la differenza, no? Ti
voglio bene”
Questa fu l’ultima frase che Billie Jean sentì
pronunciare dal suo amico che non si
vergognò a definirlo “Leggenda”.
Il suo nome fu lentamente dimenticato e le storie delle sue battaglie vanno scolorendosi, sulla storia della battaglia dei sessi ormai vi è scesa una patina di polvere ma di lui dissero le associazioni sportive femministe:
“Per
essere uno sciovinista ha fatto molto per noi. Lo ricorderemo sempre nel
miglior modo possibile. Ha fatto molto per il tennis femminile”.
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