1980 Mosca, Urss.
Per protesta contro l’invasione dell’Afghanistan da parte
dei sovietici avvenuta nel gennaio dello stesso anno, giustificata con una
richiesta di Kabul in difesa dei ribelli musulmani appoggiati dal Pakistan,
circa 65 paesi boicottarono i giochi olimpici che si svolgevano in terra russa.
Inoltre, moltissime delle nazioni partecipanti decisero di rinunciare alle
bandiere ed agli inni nazionali, sostituiti dall’amena marcetta e dal vessillo del
Comitato Olimpico Internazionale. L’Italia, tanto per complicarsi sempre la
vita, vietò la partecipazione ai propri sportivi provenienti da gruppi militari.
La storia ricorderà come “LE OLIMPIADI DIMEZZATE”, questa
edizione dei giochi.
Nell’atletica, soprattutto nel salto triplo, la defezione
degli Usa e della Cina privò i giochi di moltissimi atleti di calibro
internazionale come Banks, Livers o Zhenxian, detentori di record
impressionanti in patria.
Ciononostante tutti e 12 i saltatori che si presentarono
alle finali del pomeriggio del 25 luglio erano egualmente di caratura mondiale.
I pronostici davano per favorito il brasiliano dal talento purissimo Joao
Carlos de Oliveira, un sergente di fanteria ex calciatore ed ex muratore, detto
“Saltatore” (Do Mulo). Già l’olimpiade precedenti aveva sfiorato la medaglia d’oro,
negata solo per i postumi di una sciatica.
Suo principale rivale era il georgiano Viktor Sanayev,
agronomo 35enne, detto “Canguro, ormai sul viale del tramonto e con un
ginocchio in cattive condizioni, ma ancora capace di saltare oltre i 17 metri; tentava il
record della 4° medaglia d’oro olimpica consecutiva e dalla sua parte aveva
l’intero tifo dei settantamila spettatori dello stadio di casa Lenin, oggi
Luzhniki.
Assieme a lui, come compagno di squadra, un altro agronomo,
ma di dieci anni più giovane, l’estone Jaak Uudmae, non affermato a livello
internazionale ma molto quotato e capace di buoni risultati.
Infine, come outsider, vi era il 23enne studente d’arte
australiano Ian Campbell, semisconosciuto ma nelle gare di qualificazione risultò
essere l’atleta dai migliori risultati.
Tutti e 4 gli atleti erano convinti delle proprie capacità e
di aver la possibilità di portare a casa la medaglia d’oro; pertanto non
stupisce il fatto che il quartetto di saltatori fu quello che si qualificò
all’ultima tornata di salti finale.
In testa, leggermente a sorpresa, vi era il sovietico Uudmae
che grazie a delle ottime prestazioni aveva raggiunto i 17 m e 35, risultato che
comunque non migliorò con i balzi finali.
Fu il turno dell’atleta brasiliano, che dopo aver preso la
rincorsa sulla pedana, spicco un balzo, volando leggero come una libellula, ed
atterrando sulla sabbia oltre la linea ideale dei 18 metri! Nessuno si era
mai spinto a tanto e probabilmente era un record del mondo!
L’intero stadio era ammutolito; un silenzio non di disprezzo
verso un atleta di un’altra bandiera atto a non riconoscergli il giusto tributo
, ma piuttosto quello reverenziale verso chi ha compiuto un’impresa eccezionale
e sta per entrare di prepotenza nella storia.
Ma l’incanto viene rotto da un piccolo uomo che sventola una
bandierina rossa: salto nullo!
Lo sgomento è incredibile, tutti gli atleti ed i
telecronisti sportivi cercano un motivo plausibile di quella scelta, tanto più
che la plastilina posta sulla linea di stacco è immacolata.
La spiegazione fu che l’atleta era incappato in una
infrazione detta “sleeping leg”: cioè che la propria gamba inattiva, durante il
secondo dei tre salti, aveva sfiorato il terreno. Un fallo praticamente mai
contestato nella storia delle olimpiadi, alla stregua di un cavillo; basti
pensare che oggi di questa infrazione non ne rimane traccia nel regolamento internazionale
di atletica leggera, infatti venne abrogata per la sua artificiosità e per il
semplice fatto che un eventuale contatto del piede libero non incrementerebbe in
alcun modo la prestazione, semmai il contrario
Bisognava premettere però che l’intera giuria era
completamente composta ,grazie a chi sa quale magheggio nella IAAF, da personale
sovietico.
Stessa storia per il salto compiuto dopo pochi minuti
dall’australiano, abbondantemente sopra i 17 metri e mezzo, solita
bandierina rossa e solita infrazione: sleeping leg.
Campbell alla richiesta di spiegazione ricevette come
risposta dal giudice, mentre faceva subito rastrellare la sabbia per dar via la
salto successivo, una semplice scrollata di spalle
Sistematicamente tutte le prove seguenti del brasiliano e
dell’australiano furono giudicate non valide ed annullate; ciò permise a Sanayev
di strappare la seconda posizione di un paio di centimetri, tra la leggera
delusione del pubblico di casa che avrebbe preferito lui sul gradino più alto
del podio e non Uudmae, che era sì un sovietico, ma di etnia estone, pertanto
considerato un non-russo.
Alla premiazione l’atleta brasiliano sportivamente e cavallerescamente
si congratulò con i due vincitori, facendo buon viso a cattivo gioco ma dietro
le quinte non riuscì a digerire lo smacco.
Durante un’intervista, alcuni anni dopo, ammise:
“Per la prima volta in vita mia mi misi a piangere”
Purtroppo per Joao, il destino si accanì con la cattiveria
di cui solo lui è capace.
Un anno dopo l’atleta rimane vittima di un terrificante
incidente stradale: mentre percorreva l’autostrada verso San Paolo do Brasil la
sua auto impatta frontalmente a 160 orari con un’altra vettura che viaggiava
contromano. Al volante vi era un ladro ubriaco che tentava di sfuggire alla
polizia.
L’olimpionico, estratto vivo dalla lamiere, resta in coma
per una settimana; per i novi mesi successivi viene sottoposto a ben 16
interventi chirurgici per tentare di salvargli la gamba destra orribilmente
devastata da ferite e fratture multiple. Purtroppo viene deciso di amputarla 10 cm sotto il ginocchio.
Il brasiliano però non abbandona l’atletica: grazie ad una
protesi partecipa alle Paraolimpiadi; fu durante a quelle del 1992 a Barcellona che riceve
inaspettatamente la visita dell’estone Harry Seinberg, ex preparatore atletico
della squadra sovietica di quella sfortunata edizione dei giochi di Mosca.
Seinberg era venuto a chiedere personalmente scusa a Joao per
quello che era accaduto durante quella finale ed ammise che la competizione era
stata manipolata; ammissione che comunque si rimangiò quando la commissione
brasiliana chiese la revisione della classifica e la riassegnazione delle
medaglie.
Nel 1999, nella più completa solitudine,alcolizzato e
depresso, a soli 45 anni, Joao Carlos De Olivera si spegne dopo un lungo mese
di agonia a causa della cirrosi epatica.
Verrà ricordato come “gran sfortunato” fra i maggiori
talenti del secolo passato, sulle pedane prima, sui sentieri della vita poi.
Per Ian Campbell invece, la cui decimazione delle prove gli
negò il podio e lo relegò in quinta posizione e nonostante le proteste
ufficiali della federazione australiana contro il comportamento dei giudici
respinte dalla IAAF, la vita gli regalò molte soddisfazioni.
Ritiratosi poco tempo dopo dall’attività agonistica si
dedicò completamente agli affari nel settore sportivo, con ottimi risultati,
tra cui un tour delle superstar Michael Jordan e Tiger Woods in Giappone.
Ai giochi di Sydney del 2000 incontrò l’ex avversario Sanayev,
emigrato nella terra dei canguri dopo la dissoluzione della repubblica
sovietica; alla richiesta di un commento di quella famosa finale la sua
risposta fu un laconico:
“Fu un pomeriggio molto strano”. Seguito da una strizzatina
dell’occhio.
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