domenica 16 novembre 2014

Il re del metro quadro



Terrorizzati fuggono i superstiti sotto una pioggia incessante di calcinacci e polveri, mentre tutto intorno gli edifici, simbolo del potere, deflagrano sotto i carichi di morte degli aeroplani.
Le telecamere mandano in diretta le immagini del massacro in tutto il mondo che, attonito ed angosciato, si interroga sull’incertezza del futuro.
E’ l’11 settembre. Del 1973. In Cile.

Il presidente, asserragliato all’interno del palazzo della Moneda, ormai certo della riuscita di quel golpe militare, dopo un toccante messaggio radio alla nazione si suicida con una scarica di mitra.
Termina così l’esperimento socialista del governo di Unidad Popular di Salvador Allende abbattuto dal colpo di stato di Augusto Pinochet.
Salito al potere quest’ ultimo istituirà un regime militare che verrà ricordato come uno dei più schifosi della storia., un’orrenda spirale di piombo e terrore.

Salvador Allende
Augusto Pinochet

A diversi chilometri di distanza, isolata e senza né radio e né giornali, si trova in ritiro la nazionale cilena, la Roja, che sta terminando il programma di
preparazione per lo spareggio contro la Russia, in terra sovietica, per la qualificazione dei Mondiali del 1974.
I rumori assordanti dei bombardamenti sul palazzo presidenziale arrivano ugualmente ai giocatori tra cui comincia a serpeggiare il timore e la paura per la sorte dei propri cari.
Tra i più angosciati c’è Carlos Caszely, a quei tempi considerato il più forte giocatore cileno di sempre, soprattutto per le sue aperte simpatie socialiste e l’amicizia personale con l’ormai ex presidente Allende.

Il giovane Caszely assieme al presidente Allende
Carlos Humberto Caszely Garrido nasce a Santiago del Cile nel 1950, figlio di ferroviere di origini ungheresi, ultimo di tre fratelli, esordisce in prima squadra nel Colo Colo a soli 17 anni.
Non è ne alto ne magro, ma è dotato di piedi raffinati, dribbling secco, gran colpo di testa e, soprattutto, un fiuto del gol invidiabile tanto da fargli guadagnare il soprannome di O rey del metro cuadrado, il re del metro quadro, perché se arrivava o riceveva palla in area di rigore era sicuramente gol.
Tutte questi doti gli permisero di vincere tanto con il suo Colo Colo e di segnare 29 gol con la maglia della Roja. Meglio di lui solo Marcelo Salas ed Ivan Zamorano.




Intanto, mentre la squadra partiva per la capitale sovietica, la giunta militare cominciava la sua opera sistematica di eliminazione fisica dei cosiddetti “nemici dello stato”, facendo fucilare e sparire a centinaia tra operai, artisti, avversari politici, studenti e semplici sospetti. Molti di loro non sono ancora stati ritrovati. Le donne vengono violentate e torturate, dai militari e dai loro cani.

I giocatori,  che sotto minaccia sono costretti a tacere sulla situazione interna del loro paese, trovarono ad accoglierli un clima ostile; sebbene gli Usa avessero formalmente riconosciuto il governo militare di Pinochet, gli URSS ritirarono il loro ambasciatore e ruppero ogni contatto diplomatico con il Cile.
Il 26 settembre, con una temperatura di 5 gradi al di sotto dello zero, si svolse la partita di andata del doppio confronto. Eroicamente La Roja resiste agli attacchi della corazzata sovietica inchiodando il risultato finale sullo 0-0.
Ogni pronostico rimaneva aperto per la gara di ritorno che doveva svolgersi nello Stadio Nazionale di Santiago, il tempio del calcio andino ormai diventato da settimane un centro di detenzione e morte.
I sovietici, con l’appoggio del blocco orientale e di alcuni stati africani, protestò con forza con la FIFA: “Chiediamo che il match di ritorno sia disputato in campo neutro, visto che nello stadio di Santiago, inzuppato del sangue dei patrioti cileni, gli sportivi sovietici non possono giocare per ragioni etiche”.
La FIFA organizzò una delegazione, nelle persone di Atilio D'Almeida e Helmuth Kaiser, da recare in terra cilena per valutare la situazione.
Nonostante centinaia di persone fossero ancora incarcerate nei sotterranei, guardate con i mitra spianati perché non alzassero la voce, e gli spogliatoi ancora macchiati di sangue, la commissione sceglie di chiudere gli occhi davanti a quel campo di concentramento e da il via libera: la partita dovrà svolgersi allo Stadio Nazionale.
L’URSS si rifiutò di giocare, rinunciando di fatto alla possibilità di qualificarsi ai Campionati Mondiali; le ragioni umanitarie di tale scelta consentivano ai sovietici di presentarsi al mondo come i difensori della giustizia, della pace e della democrazia, anche se la verità sulla buona fede della Federazione è più ambigua di quanto i proclami dei governi o gli articoli di giornali sottoposti a censura lasciassero credere all’epoca, bisogna ricordare che solo 5 anni prima i loro tank entravano sanguinosamente a Praga.
Temevano che una eventuale sconfitta in terra cilena potesse avere forti ripercussioni politiche sulla nomenclatura comunista del paese.

Il boicottaggio sovietico spalancò le porte dei Mondiali al Cile, un successo imbarazzante ma non per il regime che vuole glorificarsi con una parata.
Fu così che fu inscenata la più” Patetica partita della storia”.
Il giorno 21 novembre del 1973, alla Stadio Nazionale di Santiago, davanti ad una folla di oltre 17000 spettatori (e soldati) la Roja scende in campo contro il fantasma della nazionale sovietica.
11 contro 0, l’infamia del regime contro la dignità di chi provava a ribellarsi.
Il regolamento prevedeva che tutti i giocatori cileni dovessero toccare la palla per poi siglare la rete della vittoria. (Per gli annali sarà il capitano Valdes)
Caszely pensa all’insubordinazione: quando gli arriverà la palla lui la calcerà fuori. Poi la sfera gli arriva tra i piedi e lui la gioca, anche lui prende parte a quella sceneggiata; gli è mancato il coraggio per dire no, troppa paura forse o troppa impotenza.
 Negli spogliatoi avrà un mancamento mentre il compagno di squadra Chamaco Valdes, socialista convinto, vomita anche l’anima.
Per intrattenere gli spettatori fu organizzata una amichevole contro il Santos, orfano di Pelè. Il Cile incassò un sonoro 5 a 0.
La vergogna per quel mancato gesto di rifiuto Carlos la proverà a cancellare qualche mese dopo, alla vigilia della Coppa del Mondo. Pinochet vuole vedere e salutare la Roja prima del Mondiale. Durante l'incontro il dittatore saluta e stringe la mano a tutti i componenti della squadra. A tutti. meno che a uno: Carlos Caszely, che le sue mani le tiene bene intrecciate dietro la schiena, quando Pinochet si presenta da lui. Un gesto, ripetuto ogni volta che incontrerà Pinochet che gli vale ancor di più l'etichetta del Rojo, del Rosso.
Quando il regime comincia a colpire duramente anche gli sportivi, Carlos lascia il suo Colo Colo e la sua terra per andare a giocare in Spagna, nel Levante prima e nell’Espagnol poi.
Caszely con la maglia del Levante
La spedizione mondiale in terra tedesca l’anno successivo non fu un successo poiché vennero eliminati al primo turno. L’avventura di Caszely duro solo 67 minuti: fu il primo giocatore della storia dei campionati del Mondo a cui venne mostrato il cartellino rosso, prima le sanzioni si comunicavano solo verbalmente ai giocatori.

Per anni gli stessi vertici militari imporranno l’allontanamento del giocatore dalla nazionale, nonostante anche in terra iberica non smetta di segnare.
I simboli della squadra ora sono altri: Elias Figueroa, vicino a Pinochet, ed Oscar Fabbiani, argentino appositamente naturalizzato.

Nel 1978 ritorna in patria, per stare vicino alla madre Olga: la DINA la terribile polizia cilena, aveva incarcerato la donna e per settimane, prima di venir liberata, fu vittima di torture, stupri e vessazioni. Carlos vide quella prigionia come una ritorsione per le sue idee e le sue prese di posizione
Ritornerà a vestire la maglia del Colo Colo, dove, per 3 anni consecutivi, sarà capocannoniere.


 
A 32 anni suonati, a furor di popolo, ritorna nel giro della nazionale per giocare i Mondiali del 82 in Spagna.
Anche in questa edizione la sua stella non brilla: sbaglierà anche un rigore decisivo contro l’Austria. La stampa del regime trovò in questo gesto il proprio capro espiatorio, sostenendo che aveva sbagliato di proposito come forma di protesta contro la dittatura.
Giocherà altri tre anni in Nazionale, con un' ultima partita e un ultimo supergol contro il Brasile. Ma con il calcio non si spegne la sua voglia di opporsi alla dittatura. E' il 1985 e Caszely, ormai un ex della Nazionale, incontra ancora Pinochet alla Moneda, il palazzo presidenziale.
Si presenta e stavolta lo saluta (ma non gli stringe la mano). Ha una cravatta rossa vistosissima.
“Lei porta sempre la cravatta?” domanda il dittatore.
“Sì, non me la tolgo mai. La porto dalla parte del cuore”.
”Io gliela taglierei” è la risposta di Pinochet, mimando le forbici con le dita.

1988
Pinochet, convinto di aver ancora la popolazione dalla sua parte, indisse un plebiscito in cui veniva chiesto di pronunciarsi in favore o contro un ulteriore mandato presidenziale di 8 anni.
Prima della consultazione, il fronte del “no” pubblicò un video promozionale che invitava i cileni a voltare pagina e a pensionare il dittatore. Una dolce signora, ormai avanti con gli anni ma con la luce della speranza negli occhi, narra alla telecamera il sequestro e le torture subite, confessa che i supplizi non avevano lasciato segni sul corpo, ma tracce indelebili nella sua mente e nel suo cuore: per questo, sprona gli elettori, deve aprirsi una fase nuova, all’insegna della vera democrazia, della pace e dell’allegria, senza più i protagonisti della stagione dell’odio. Poi, la ripresa si allarga e nell’inquadratura compare Caszely, che riafferma i concetti appena enunciati e conclude svelando il motivo per cui è necessario votare “no: “Per questo il mio voto è No. Perché la sua allegria è la mia allegria. Perché i suoi sentimenti sono i miei sentimenti. Perché il giorno di domani potremo vivere in una democrazia libera, sana, solidale, che tutti possiamo condividere. Perché questa bella signora è mia madre.
 A seguito del referendum, che si svolse il 5 ottobre 1988, il cui esito fu considerato regolare, a sorpresa i sostenitori del “no” vinsero con il 55,99% dei voti. Si tennero le prime elezioni libere: Pinochet lasciò la presidenza l’11 marzo 1990 e gli succedette il Presidente eletto Patricio Aylwin.
 Caszely rifiuterà la carriera politica, pur partecipando a diverse iniziative di tipo sociale, scegliendo di raccontare il calcio da giornalista e commentatore Tv, ruolo che svolge ancora oggi.
Per i cileni, 40 anni dopo, il mito è lui, non solo per quei gol nell’ultimo metro quadro, lui personaggio profondo, molto più d’una sagoma di campione, piatta, stinta dal tempo che imbianca i capelli e sbiadisce i ricordi.
Quello di Carlos Caszely rimarrà vivido come il rosso delle maglie del Cile. Rosso di sangue e di passione.

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