Terrorizzati fuggono i superstiti sotto una pioggia
incessante di calcinacci e polveri, mentre tutto intorno gli edifici, simbolo
del potere, deflagrano sotto i carichi di morte degli aeroplani.
Le telecamere mandano in diretta le immagini del massacro in
tutto il mondo che, attonito ed angosciato, si interroga sull’incertezza del
futuro.
E’ l’11 settembre. Del 1973. In Cile.
Il presidente, asserragliato all’interno del palazzo della
Moneda, ormai certo della riuscita di quel golpe militare, dopo un toccante
messaggio radio alla nazione si suicida con una scarica di mitra.
Termina così l’esperimento socialista del governo di Unidad Popular di Salvador Allende
abbattuto dal colpo di stato di Augusto Pinochet.
Salito al potere quest’ ultimo istituirà un regime militare
che verrà ricordato come uno dei più schifosi della storia., un’orrenda spirale
di piombo e terrore.
Salvador Allende |
Augusto Pinochet |
A diversi chilometri di distanza, isolata e senza né radio e
né giornali, si trova in ritiro la nazionale cilena, la Roja, che sta terminando il
programma di
preparazione per lo spareggio contro la Russia, in terra sovietica,
per la qualificazione dei Mondiali del 1974.
I rumori assordanti dei bombardamenti sul palazzo
presidenziale arrivano ugualmente ai giocatori tra cui comincia a serpeggiare
il timore e la paura per la sorte dei propri cari.
Tra i più angosciati c’è Carlos Caszely, a quei tempi
considerato il più forte giocatore cileno di sempre, soprattutto per le sue aperte
simpatie socialiste e l’amicizia personale con l’ormai ex presidente Allende.
Il giovane Caszely assieme al presidente Allende |
Carlos Humberto Caszely Garrido nasce a Santiago del Cile
nel 1950, figlio di ferroviere di origini ungheresi, ultimo di tre fratelli, esordisce
in prima squadra nel Colo Colo a soli 17 anni.
Non è ne alto ne magro, ma è dotato di piedi raffinati,
dribbling secco, gran colpo di testa e, soprattutto, un fiuto del gol
invidiabile tanto da fargli guadagnare il soprannome di O rey del metro cuadrado, il re del metro quadro, perché se
arrivava o riceveva palla in area di rigore era sicuramente gol.
Tutte questi doti gli permisero di vincere tanto con il suo
Colo Colo e di segnare 29 gol con la maglia della Roja. Meglio di lui solo
Marcelo Salas ed Ivan Zamorano.
Intanto, mentre la squadra partiva per la capitale
sovietica, la giunta militare cominciava la sua opera sistematica di
eliminazione fisica dei cosiddetti “nemici dello stato”, facendo fucilare e sparire
a centinaia tra operai, artisti, avversari politici, studenti e semplici
sospetti. Molti di loro non sono ancora stati ritrovati. Le donne vengono
violentate e torturate, dai militari e dai loro cani.
I giocatori, che
sotto minaccia sono costretti a tacere sulla situazione interna del loro paese,
trovarono ad accoglierli un clima ostile; sebbene gli Usa avessero formalmente riconosciuto
il governo militare di Pinochet, gli URSS ritirarono il loro ambasciatore e
ruppero ogni contatto diplomatico con il Cile.
Il 26 settembre, con una temperatura di 5 gradi al di sotto
dello zero, si svolse la partita di andata del doppio confronto. Eroicamente La Roja resiste agli attacchi
della corazzata sovietica inchiodando il risultato finale sullo 0-0.
Ogni pronostico rimaneva aperto per la gara di ritorno che
doveva svolgersi nello Stadio Nazionale di Santiago, il tempio del calcio
andino ormai diventato da settimane un centro di detenzione e morte.
I sovietici, con l’appoggio del blocco orientale e di alcuni
stati africani, protestò con forza con la FIFA: “Chiediamo che il match di ritorno sia
disputato in campo neutro, visto che nello stadio di Santiago, inzuppato del
sangue dei patrioti cileni, gli sportivi sovietici non possono giocare per
ragioni etiche”.
La FIFA
organizzò una delegazione, nelle persone di Atilio D'Almeida e Helmuth Kaiser,
da recare in terra cilena per valutare la situazione.
Nonostante centinaia di persone fossero ancora incarcerate
nei sotterranei, guardate con i mitra spianati perché non alzassero la voce, e
gli spogliatoi ancora macchiati di sangue, la commissione sceglie di chiudere
gli occhi davanti a quel campo di concentramento e da il via libera: la partita
dovrà svolgersi allo Stadio Nazionale.
L’URSS si rifiutò di giocare, rinunciando di fatto alla
possibilità di qualificarsi ai Campionati Mondiali; le ragioni umanitarie di
tale scelta consentivano ai sovietici di presentarsi al mondo come i difensori
della giustizia, della pace e della democrazia, anche se la verità sulla buona
fede della Federazione è più ambigua di quanto i proclami dei governi o gli
articoli di giornali sottoposti a censura lasciassero credere all’epoca,
bisogna ricordare che solo 5 anni prima i loro tank entravano sanguinosamente a
Praga.
Temevano che una eventuale sconfitta in terra cilena potesse
avere forti ripercussioni politiche sulla nomenclatura comunista del paese.
Il boicottaggio sovietico spalancò le porte dei Mondiali al
Cile, un successo imbarazzante ma non per il regime che vuole glorificarsi con
una parata.
Fu così che fu inscenata la più” Patetica partita della
storia”.
Il giorno 21 novembre del 1973, alla Stadio Nazionale di
Santiago, davanti ad una folla di oltre 17000 spettatori (e soldati) la Roja scende in campo contro
il fantasma della nazionale sovietica.
11 contro 0, l’infamia del regime contro la dignità di chi
provava a ribellarsi.
Il regolamento prevedeva che tutti i giocatori cileni
dovessero toccare la palla per poi siglare la rete della vittoria. (Per gli annali
sarà il capitano Valdes)
Caszely pensa all’insubordinazione: quando gli arriverà la
palla lui la calcerà fuori. Poi la sfera gli arriva tra i piedi e lui la gioca,
anche lui prende parte a quella sceneggiata; gli è mancato il coraggio per dire
no, troppa paura forse o troppa impotenza.
Negli spogliatoi avrà
un mancamento mentre il compagno di squadra Chamaco Valdes, socialista convinto,
vomita anche l’anima.
Per intrattenere gli spettatori fu organizzata una
amichevole contro il Santos, orfano di Pelè. Il Cile incassò un sonoro 5 a 0.
La vergogna per quel mancato gesto di rifiuto Carlos la
proverà a cancellare qualche mese dopo, alla vigilia della Coppa del Mondo.
Pinochet vuole vedere e salutare la
Roja prima del Mondiale. Durante l'incontro il dittatore
saluta e stringe la mano a tutti i componenti della squadra. A tutti. meno che
a uno: Carlos Caszely, che le sue mani le tiene bene intrecciate dietro la
schiena, quando Pinochet si presenta da lui. Un gesto, ripetuto ogni volta che
incontrerà Pinochet che gli vale ancor di più l'etichetta del Rojo,
del Rosso.
Quando il regime comincia a colpire duramente anche gli
sportivi, Carlos lascia il suo Colo Colo e la sua terra per andare a giocare in
Spagna, nel Levante prima e nell’Espagnol poi.
Caszely con la maglia del Levante |
Per anni gli stessi vertici militari imporranno l’allontanamento
del giocatore dalla nazionale, nonostante anche in terra iberica non smetta di
segnare.
I simboli della squadra ora sono altri: Elias Figueroa,
vicino a Pinochet, ed Oscar Fabbiani, argentino appositamente naturalizzato.
Nel 1978 ritorna in patria, per stare vicino alla madre Olga:
la DINA la
terribile polizia cilena, aveva incarcerato la donna e per settimane, prima di
venir liberata, fu vittima di torture, stupri e vessazioni. Carlos vide quella
prigionia come una ritorsione per le sue idee e le sue prese di posizione
A 32 anni suonati, a furor di popolo, ritorna nel giro della
nazionale per giocare i Mondiali del 82 in Spagna.
Anche in questa edizione la sua stella non brilla: sbaglierà anche un rigore decisivo contro l’Austria. La stampa del regime trovò in questo gesto il proprio capro espiatorio, sostenendo che aveva sbagliato di proposito come forma di protesta contro la dittatura.
Anche in questa edizione la sua stella non brilla: sbaglierà anche un rigore decisivo contro l’Austria. La stampa del regime trovò in questo gesto il proprio capro espiatorio, sostenendo che aveva sbagliato di proposito come forma di protesta contro la dittatura.
Giocherà altri tre anni in Nazionale, con un' ultima partita
e un ultimo supergol contro il Brasile. Ma con il calcio non si spegne la sua
voglia di opporsi alla dittatura. E' il 1985 e Caszely, ormai un ex della
Nazionale, incontra ancora Pinochet alla Moneda, il palazzo presidenziale.
Si presenta e stavolta lo saluta (ma non gli stringe la
mano). Ha una cravatta rossa vistosissima.
“Lei porta sempre la cravatta?” domanda il dittatore.
“Sì, non me la tolgo mai. La porto dalla parte del cuore”.
”Io gliela taglierei” è la risposta di Pinochet, mimando le
forbici con le dita.
1988
Pinochet, convinto di aver ancora la popolazione dalla sua
parte, indisse un plebiscito in cui veniva chiesto di pronunciarsi in favore o
contro un ulteriore mandato presidenziale di 8 anni.
Prima della consultazione, il fronte del “no” pubblicò un
video promozionale che invitava i cileni a voltare pagina e a pensionare il
dittatore. Una dolce signora, ormai avanti con gli anni ma con la luce della
speranza negli occhi, narra alla telecamera il sequestro e le torture subite,
confessa che i supplizi non avevano lasciato segni sul corpo, ma tracce
indelebili nella sua mente e nel suo cuore: per questo, sprona gli elettori,
deve aprirsi una fase nuova, all’insegna della vera democrazia, della pace e
dell’allegria, senza più i protagonisti della stagione dell’odio. Poi, la
ripresa si allarga e nell’inquadratura compare Caszely, che riafferma i
concetti appena enunciati e conclude svelando il motivo per cui è necessario
votare “no: “Per questo il mio voto è No. Perché la sua allegria è la mia
allegria. Perché i suoi sentimenti sono i miei sentimenti. Perché il giorno di
domani potremo vivere in una democrazia libera, sana, solidale, che tutti
possiamo condividere. Perché questa bella signora è mia madre.
A seguito del referendum, che si svolse il 5 ottobre 1988, il cui esito fu considerato regolare, a sorpresa i sostenitori del “no” vinsero con il 55,99% dei voti. Si tennero le prime elezioni libere: Pinochet lasciò la presidenza l’11 marzo 1990 e gli succedette il Presidente eletto Patricio Aylwin.
A seguito del referendum, che si svolse il 5 ottobre 1988, il cui esito fu considerato regolare, a sorpresa i sostenitori del “no” vinsero con il 55,99% dei voti. Si tennero le prime elezioni libere: Pinochet lasciò la presidenza l’11 marzo 1990 e gli succedette il Presidente eletto Patricio Aylwin.
Caszely rifiuterà la carriera politica, pur partecipando a
diverse iniziative di tipo sociale, scegliendo di raccontare il calcio da
giornalista e commentatore Tv, ruolo che svolge ancora oggi.
Per i cileni, 40 anni dopo, il mito è lui, non solo per quei
gol nell’ultimo metro quadro, lui personaggio profondo, molto più d’una sagoma
di campione, piatta, stinta dal tempo che imbianca i capelli e sbiadisce i
ricordi.
Quello di Carlos Caszely rimarrà vivido come il rosso delle
maglie del Cile. Rosso di sangue e di passione.